domenica 26 febbraio 2012

Cocuzzo versante ovest

Dopo le abbondanti nevicate di febbraio ricavo un poco di tempo per andare in montagna; si fa per dire, devo tornare verso le 10-10.30. Decido allora di andare a dare un'occhiata al versante ovest di Monte Cocuzzo, facilmente raggiungibile con la macchina, ed in cui dovrebbe esserci qualche simpatico canalino da salire. Mi alzo alla 4.25 (ero andato a letto alle 12.30: pizza e partita) e preparo lo zaino. Riesco a partire solo verso le 5.40. All'arrivo mi rendo subito conto che fa troppo caldo: il termometro segna 3°C: malissimo; la neve infatti, con copertura molto discontinua, si rivela subito cedevole ed umida. Le racchette le ho lasciate in macchina, la neve è poca e poi il terreno è quasi tutto ripido, inutile portarle. Il luogo di partenza è ben noto a tutti i geologi: da studente chi non è andato in escursione a vedere il contatto tettonico fra le unità metamorfiche dell'Arco Calabro e le unità appenniniche triassiche del versante ovest del Cocuzzo?. Il tempo oltre ad essere troppo caldo è anche nebbioso a tratti, con nuvole che passano rapidamente a cavallo dello spartiacque appenninico.
L'avvicinamento è breve, con qualche passaggio su roccette di I grado piuttosto instabili all'attraversamento della Serra del Crapio. Dò una rapida occhiata alla parete e decido di dirigermi verso un canalino molto stretto, che pare abbastanza ripido, a destra della vetta di Cima Telegrafo.
Veduta generale del versante ovest 
In rosso la via di salita, in giallo la discesa
La neve spesso cede e nelle zone di accumulo affondo a volte con l'intera gamba; uscire dalla buca che si crea non è facile ed a volte faccio una fatica bestia. Spero di trovare condizioni migliori salendo al canalino. Man mano che mi avvicino però questa speranza svanisce, ed uscire da un canalino che precede quello scelto è una faticaccia. Arrivo all'inizio di una zona ripida all'ingresso del canalino vero e proprio e metto i ramponi e poso i bastoncini, che mi sono stati estremamente utili e lo saranno ancora di più al ritorno in discesa. E' la prima volta che li uso, come ho fatto finora senza?. I ramponi semi-automatici si indossano decisamente molto meglio di quelli a fettuccia. Inizio a salire il canalino, con una neve pessima, arranco tremendamente e fatico a guadagnare metri; spesso per cercare di avanzare mi devo agganciare con la punta delle piccozze alle rocce che affiorano per tirarmi fuori delle vasche che si creano nella neve. Finalmente nella parte alta, decisamente più ripida, 45° circa, la neve è decisamente dura e riesco a salire in maniera veloce e divertente; qui il canale è veramente stretto, 2-2,5 m al massimo.
Verso la fine del canalino
Purtroppo le buone condizioni durano poco, ed all'uscita la neve è di nuovo molle e torno a patire fino alla fine del canalino.
Il canalino visto dalla zona di uscita
Sono ormai decisamente sudato ed affaticato, ed inoltre ormai si è fatto tardi: ho impiegato due ore dalla macchina, un'eternità. decido quindi di non arrivare in vetta, ci sarà stato 20 volte, e mi dirigo di nuovo alla macchina. La discesa è tremendamente insidiosa con questa neve cedevole e ancora una volta si sprofonda quasi ad ogni passo. Uno strazio. Finita la zona più ripida la neve diminuisce e si cammina bene fino alla macchina. Non è andata certo come speravo, comunque qualcosa l'ho conclusa. Non ho idea se qualcuno abbia già percorso questo canalino, che proporrei di chiamare, viste le dimensioni, e con un poco di ironica enfasi "Couloir Vicolo Stretto", con sviluppo di 200-220 m e dislivello di 120-130 m, difficoltà direi PD.

mercoledì 15 febbraio 2012

Maratona Carpi 2011

A fine inverno, quando l'intorpidimento fisico e mentale cede il passo alla smania di fare, sono in dubbio se concentrami di più sulla montagna oppure tentare una nuova avventura sulla distanza dei 42,195 km della maratona. Ad aprile Mauro mi toglie ogni dubbio, corre la maratona di Padova (la sua terza), e migliora il mio record di qualche mese prima, correndo in 3 ore 12 minuti e 26 secondi, mi ha fregato di 4 minuti e mezzo circa. Ovviamente non posso assistere passivamente e mi decido quindi a effettuare una preparazione per scendere sotto le tre ore e dieci. La tabella di allenamento che seguo al partire da luglio è però decisamente impegnativa: sei corse a settimana, con il solo lunedì di riposo. La preparazione già a giugno comincia ad essere discreta e mi presenta già preparato al periodo di allenamento da tabella, che solitamente ha un approccio piuttosto ostico. Si corre dai 70 a quasi 100 km a settimana nei periodi di maggiore carico. Faccio bene quasi tutti gli allenamenti senza saltare quasi un giorno. Riesco anche a correre quando vado fuori per lavoro (Verona, Genova) o quando sono a Caulonia. Solo un paio di giorni di allenamento li salto a causa di qualche dolore alla caviglia, probailmente a causa dello stress del carico di lavoro. nel periodo estivo corro la mattina molto presto e poi vado al lavoro, ed ogni tanto corro la sera a Quattromiglia a fine giornata lavorativa. Durante la preparazione, visti i discreti ritmi che riesco a tenere, in cuor mio penso di potermi avvicinare al limite delle tre ore di corsa. Il "lungo" finale lo fisso a 38 km, che riesco a fare con un 4'25'' al chilometro senza forzare e con tempo decisamente afoso nell'ultima ora di corsa (si è all'inizio di settembre). Direi che la preparazione è a posto. Faccio un ultimo ottimo 10 km in 38'08'', e mi sento pronto a partire. Quest'anno sono da solo e si va in treno. Ho prenotato un albergo (4 stelle, la prima volta in vita mia..... era l'ultimo rimasto) e l'organizzazione che ho scelto è questa: viaggio ovviamente la notte in cuccetta (promiscua, sei posti, bisogna economizzare), arrivo al mattino di sabato a Modena, brevissimo giro in città in attesa del regionale per Carpi e poi ampia visita a Carpi a prendere il pacco gara con il pettorale, in Piazza Martiri a vedere partenza ed arrivo della Granfondo di ciclismo, e poi lauto pranzo in ristorante (una volta ogni morte di papa si può anche fare). Tagliatelle al ragù d'anatra e stinco di maiale con patate al forno. Niente male e prezzi onesti. la prima grana per raggiungere l'albergo: tutte le linee autobus sono ferme per la Granfondo, e per raggiungere l'albergo devo per forza prendere un taxi (la prima volta in vita mia, 15 € per 8 km, 'sticavoli). Pomeriggio in albergo a riposare, preparare la roba per il giorno dopo e fare esercizi, poi a cena a mangiare un bel piatto di pasta ed una bistecca ai ferri. La notte non è delle migliori, ho un principio di raffreddore e riposo maluccio, svegliandomi spesso. Cavolo, spero di tenere almeno oggi, poi la salute facesse il cavolo che gli pare!. Sveglia alle 5.00, colazione abbondante insieme agli altri maratoneti ed alle 5.50 si sale sulla navetta che porta a Maranello. Si arriva presto sullo spiazzale e c'è ampia attesa. Iniziano le file ai bagni chimici, una dello cose più 'zzozze del genere umano, molto meglio una buca nella nuda terra. Sento comunque dei sommovimenti gastrici e tento comunque l'avventura, decisamente orrorifica, bhlèaaa. Sto comunque meglio, ed anche il raffreddore sembra a bada. Mi vesto, consegna la sacca gara ed inizio il riscaldamento, che ad un certo punto diventa proprio simpatica perchè mischiati insieme a noi schiappe si riscaldano anche i top runners, i draghi della corsa, ci sono keniani, etiopi, un russo, ecc.... Guardarli è veramente uno spettacolo, corrono in maniera così facile e naturale che sembrano non toccare il suolo, degli essere sovrannaturali in mezzo e dei comuni mortali.
Alla fine si entra nell'informe massa in attesa dello sparo, che sembra non arrivare mai. Lo speaker dice che dobbiamo aspettare il collegamento RAI per la partenza. Ad un certo punto senza nessun preavviso sentiamo lo sparo e c'è un attimo di smarrimento, ma era la partenza?, direi di si visto che l'informe massa si mette in moto. Siamo in ballo. Ho fatto un poco di conti: per le tre ore occorre un ritmo di 4'15'' al km e penso di potercela fare. La strategia è quella di correre fra 4'10'' e 4'15'' al km tutta la prima parte, almeno fino al 30°-35° km, e poi gestire le energie finali. Porto solo una confezione piccola di maltodestrine da 40 gr. nella microtasca del pantaloncino e null'altro. Parto con il primo chilometro lentissimo a causa della folla da superare: l'organizzazione ha fatto una cavolata pazzesca; siccome insieme alla maratona si corrono anche la mezza ed una 30 km, presumendo che chi corre queste corse va più veloce dei maratoneti, hanno piazzato dietro i campioni anche le schiappe settantenni e la casalinga paffuta davanti a noi amatori. Faccio il primo chilometro in 4'30, malissimo, devo già recuperare 15 secondi. Dopo il 1° chilometro comunque la folla si dirada e riesco a fare ritmi decenti e nel giro di pochi chilometri sono già in linea con il tempo prefissato. Viaggio sempre intorno a 4'05''-4'10'', meglio del previsto, mi sento bene, ma poi dopo il 7°-8° cominciano stranamenti a farmi male gli addominali, forse per il ritmo elevato, e comunque non rallento affatto.
Fasi iniziali, passaggio a Formigine (purtoppo le scritte non si possono togliere, dovrei comprare le foto e non ci penso proprio)
Passaggio all'interno dell'Accademia militare nel cortile interno del Palazzo Ducale
All'uscita del Palazzo Ducale
Arrivo verso la mezza che il ritmo comincia a calare leggermente e faccio rifornimento con le maltodestrine. Alla mezza segno 01h28'53'', niente male.
Nei pressi della mezza
Guardo con un pizzico di invidia quelli che si fermano alla mezza perchè hanno concluso la loro gara, ma la maratona è una corsa soprattutto di resistenza mentale, ed ormai in questo campo sono ben ferrato. Continuo in tranquillità, ma mi rendo conto che il ritmo continua  calare, anche se lentamente, forse pago chilometri troppo veloci nella prima fase.
Passaggio al 33° chilometro
Tengo ancora discretamente fino al 30°-32°, Prenderei ancora delle maltodestrine se ne avessi, ma nel pantaloncino non ci sarebbero entrate, e di portarmele in mano per tutto il tempo mi avrebbe infastidito; poi, verso il 34°-35° km avviene ciò che ogni maratoneta teme in maniera mortale: trovo il cosiddetto "muro", ovvero il crollo verticale delle prestazioni dovuto alla fine della "benzina" o al raggiugimento del limite di prestazione. Il ritmo ora è calato clamorosamente, le gambe non mi rispondono più, corro in maniera totalmente automatica, sofferente e stavolta sì che mi tocca stringere i denti per non mollare troppo il ritmo, altrimenti sarei spacciato. I chilometri dal 37° alla fine sono eterni, ogni chilometro mi pare interminabile, controllo il cronometro in continuazione e mi rendo conto che il tempo delle tre ore è più che a rischio. Comincio a fare il tremendo pensiero che anche fare tre ore e uno o due minuti non sarebbe poi male; scaccio immediatamente questo pensiero, con tutto l'allenamento che ho fatto (ho corso per oltre 1400 km in preparazione) fallire per pochi secondi sarebbe troppo dura da digerire. Cerco a tutti i costi di tenere duro ed arrivo all'ultimo chilometro bollito, guardo costantemente il cronometro e mi rendo conto che me la gioco sul filo dei secondi. Quando faccio l'ultima curva sono a duecento-trecento metri dall'arrivo, mancano pochi secondi alle tre ore; faccio ricorso alle ultime energie fisiche e mentali e mi lancio in una volata che mi toglie completamente il fiato.
Sto lanciando la volata finale
Pochi metri al traguardo
Mi sembra di svenire e cadere esanime ad ogni falcata. Taglio il traguardo e guardo il cronometro mentre mi accascio poco oltre la linea d'arrivo. Mi viene da piangere. Il mio cronometro segna mezzo secondo oltre le 3 ore di corsa. Stò a terra mezzo morto per un bel pò, gli incaricati di ritirare il chip per il calcolo dei tempi mi chiedono addirittura se me lo devono togliere loro dalla scarpa tanto sembro stremato. La voce mi trema tutta. Vado a prendere la mia sacca con i ricambi zoppicando e trascinandomi come un mezzo storpio. Mi cambio a fatica e poi vado a magiare al pasta party. Non so se essere contento comunque del buon tempo o mettermi a piangere per quel mezzo secondo. Chiamo Mauro per avere lumi definitivi.
Controlla sul sito i risultati in tempo reale: sono arrivato 90° assoluto, 23° nella mia categoria (amatori oltre 35 anni), e 7° fra i non tesserati, bene!, poi la sorpresa, il tempo reale da cronometraggio è di 2h59'59'': sono riuscito a scendere sotto le tre ore!, mi esce qualche lacrima di gioia e fatica......., sono veramente contentissimo; mi sono anche ripreso il record di famiglia. Torno in albergo con la navetta insieme ad altri, che mi chiedono com'è andata, e qundo gli dico il tempo rimangono stupefatti e mi guardano con un certo rispetto, come pure gli albergatori dove avevo lasciato i bagagli. Ciò mi rende ancora più cosciente della bella impresa. Torno a Modena dopo una lunga attesa del treno e faccio un giro in città molto più lungo e completo e rivedo alcuni dei posti dove sono passato la mattina correndo e che non avevo gustato, come ad esempio il passaggio in piazza sotto la Ghirlandina, bellissimo. Faccio una bella cena: potevano mancare i tortellini in brodo?, e prendo il treno del ritorno, arrivo allo studio alle 8 e poi subito in cantiere a fare chilometri......, non si finisce mai di correre....

martedì 14 febbraio 2012

Pollino, Canalone del Valangone gennaio 2012

Fine Gennaio 2012, finalmente riesco ad organizzarmi per fare un giro in montagna, che finora, un pò per gli impegni, e soprattutto per la mancanza di neve di tutta la prima parte dell'inverno, non avevo potuto fare. La destinazione la decido in funzione del tempo a disposizione, che è poco, quindi un posto con poco spostamento su neve e corto come salita. Decido quindi di andare verso il Pollino, versante ovest, dove ci sono diversi tracciati su neve/ghiaccio e terreno misto. Alcuni sono decisamente non facili, e li scarto visto che sono da solo, ed opto per la salita del cosiddetto Valangone, ovvero un largo canale che negli anni '90 (mi pare nel '92), è stato percorso da una valanga che ha spazzato via una consistente parte di faggeta del fianco occidentale. Mi alzo presto (verso le 3.15), faccio una lauta colazione per non portarmi dietro da mangiare e parto. Salendo oltre Campotenese comincia prima una fittissima nebbia (visibilità 15-20 m), e poi il fondo comincia ad essere nevoso e poi in parte ghiacciato. A tratti la neve dura sull'asfalto è così alta chetocca il fondo della macchina; riesco comunque a salire, anche se slittando spesso. Vado comunque pianissimo ed arrivo a Colle dell'Impiso solo alla 5.40. Al colle il parcheggio è un'unica lastra di ghiaccio, e stare in piedi per prepararsi è un'impresa, devo mettere i ramponi già alla macchina. Non fa molto freddo, siamo intorno a -3° o -4°. Mi sistemo lo zaino e parto. La neve è dura e non c'è vento; tolgo quasi subito la giacca per non accaldarmi lungo il sentiero. E' ancora buio, e i primi 20 minuti li faccio alla luce dellalampada frontale; ci sono diverse tracce, ma nessuna mi pare particolarmente fresca, forse stamattina sono il primo. Arrivato ai piani alti di Vacquarro le tracce spariscono tutte verso i Piani del Pollino, metre non ci sono tracce degli ultimi giorni che vanno verso il Piano di Gaudolino. Il cammino è facile e divertente e cerco di non forzare il ritmo per non sudare e risparmiare energie per la parte impegnativa della salita. Alle sette meno un quarto sono al Piano di Gaudolino, meravigliosamente liscio e privo di tracce.
Il piano di Gaudolino
Qui però la neve comincia ad essere cedevole; la crosta superficiale è rigida, ma sotto cede vistosamente e mi fa affondare di 20-30 centimetri ad ogni passo; rimpiango tremendamente che non mi siano ancora arrivate le ciaspole che ho ordinato da Repetto. Attraverso il piano e mi immetto nel sentiero che in diagonale taglia ilversante occidentale del Pollino, che nella scarsa luce mattutina appare decisamente livido.
Lo sperone ovest del Pollino
Anche lungo il sentiero si affonda tremendamente. Intercetto il Valangone lungo il sentiero, facilmente individuabile dalla presenza dei bassi faggi di ricrescita, e comincio a risalire lungo il fianco destro della valanga (a sinistra in salita), facendo lo slalom fra i bassi faggi ed affondando in continuazione, a volte con tutta la gamba. Infine sbuco fuori dalla vegetazione, dove il versante aumenta decisamente di pendenza, e dove la neve comincia ad essere dura e ghiacciata. Il paesaggio è stupendo: i pini loricati sono tutti ghiacciati e ricoperti di galaverna, così come le ripide rocce dello sperone poste alla mia sinistra.
Alberi e rocce ricoperte di galaverna
Verso l'inizio della via; mi faccio una foto
In continuazione il forte vento che spira più in alto, sulla cresta, fa cadere nel canale pezzetti di ghiaccio fino a qualche centimetro. Ho il casco nella zaino, ma stima che non ce ne sia bisogno visto che sopra di me non ci sono affioramenti rocciosi particolarmente grandi o sporgenti. La salita vera e proprio inzia in corrispondenza di un bellissimo pino loricato secco, molto coreografico.
Pino loricato all'inizio del canalino
Decido di tenere la sinistra del canale, che appare decisamente molto più ripido e divertente da salire, stando accostato dapprima ad un costone roccioso e poi al centro di un canalino secondario appena abbozzato, puntanto ad un'apertura nella cresta rocciosa superiore.
Tracciato di salita nella prima parte
Qui il versante si mantiene costantemente sui 45-50°, con punte intorno ai 55°. Il fondo è di neve molto dura o a tratti ghiacciata, in parte ventata e fragile.
Al centro l'uscita del canalino
Continuo a salire dritto e spunto su di un primo varco fra le rocce e proseguo quasi sul filo di cresta, dapprima ancora su neve dura, e poi, in corrispondenza dell'uscita, su un misto piuttosto facile che mi conduce alla cresta che segna la fine dello sperone ovest e della mia via di salita.
 Un altro autoscatto durante la salita
 Bella vista del versante sulla destra della linea di salita; oltre le rocce e gli alberi in primo piano c'è il canalone centrale del Valangone
Ancora paesaggi fiabeschi
Uscita del canalino ed arrivo in cresta
Lungo il versante riesco ogni tanto a fermarmi per fare qualche foto al fiabesco paesaggio circostante. Arrivato in cresta mi accoglie un vento freddo furibondo, 70-80 chilometri orari. Mi devo abbassare sul versante opposto a quello del vento per evitare di vagare come un pupazzo portato dal vento. Guadagno un poco di quota per arrivare al punto più alto del canale del Valangone da dove conto di scendere. La discesa la affronto al centro del canalone, su pendenze di 35-40°, che si accentuano quando mi avvicino al bordo destro, dove avevo iniziato la salita.
Durante la discesa i primi raggi di sole arrivano a colpire le rocce di cresta all'uscita del canalino
Arrivato nella parte boscata ritrovo la neve molle e spesso affondo, come in un'occasione, fino all'inguine, che mi fa perdere l'equilibrio e con i ramponi faccio un bel buco nel pantalone appena comprato, eccheccaz..... A seguire l'itinerario di salita e discesa su una foto panoramica del versante ovest.

lunedì 13 febbraio 2012

Maratona di Carpi 2010

Dopo aver corso la prima maratona a Venezia nel 2009 nel 2010 ovviamente mi viene la tentazione di farne un'altra per abbassare il tempo finale. Comincio ad allenarmi ad aprile e comincio a prendere un discreto ritmo di allenamento e decido quindi di ottimizzare i miei allenamento nell'ottica di finire la maratona in meno di tre ore e mezza. Faccio quindi i cicli di allenamento con le ripetute, i lunghi alternati al fondo medio, ecc, insomma faccio un allenamento di discreto livello, con punte di 70-80 km di allenamento a settimana nei periodi di massima intensità per 3-4 allenamenti a settimana. Mi alleno quasi sempre da solo, tranne pochi giorni con Mauro nel periodo estivo. Per fare i lunghi, che a causa della data delle maratone si fanno spesso in pieno agosto, spesso mi alzo alle quattro e mezza o alle cinque per evitare di cuocere ad ore più tarde. Stavolta però non correrò la maratona di Venezia, ma decido di correre quella di Carpi, che ha una buona caratura internazionale ed un percorso abbastanza veloce.  Questa volta salgo con tutta la famiglia e quindi Mauro non mi può ospitare nella sua stanzetta di Padova, quindi ci tocca il bed and breakfast. Ne approfittiamo, ed il giorno precedente la maratona facciamo un bellissimo giro turistico per Padova, e riusciamo anche a visitare la Cappella degli Scrovegni, che meraviglia....
 Mauro in Prato della Valle
 Sant'Antonio
la zona dove abita(va) Mauro, con la Specola sullo sfondo
Il mattino dopo appuntamento alle cinque: dobbiamo prendere la macchina ed arrivare in auto fino alla partenza, a Maranello, davanti la Galleria Ferrari, per essere nello spiazzale di partenza massimo per le 8.00-8.30. Dopo una serie di giri nei dintorni di Modena e Maranello finalmente troviamo la via giusta, e Giusy lascia me e Mauro vicino l'area di partenza; stavolta però non correremo insieme, Mauro ha deciso di correre con i pattini in linea, un pò per carenza di allenamento, ed un pò per la voglia di farlo. Ci riscaldiamo nello spiazzale insieme agli altri partecipanti (circa 3000), e poi Mauro si infila nelle gabbie di partenza e dopo una piccola attesa, riceve lo start. Partono anche le carrozzine e gli sky-roll. Buoni ultimi verso le 9.10 partiamo anche noi. Io sono intruppatissimo nella folla, visto che il mio pettorale di ammissione non è dei migliori, ed i primi chilometri, come al solito, sono pieni di slalom e sorpassi. Cerco di tenere un ritmo costante, intorno a 4'40''-4'50''al chilometro. Il percorso nella prima parte è facile e prevalentemente in leggera discesa. Dopo il 5° chilometro sono ormai a velocità di crociera ed ho superato quelli troppo lenti. Molto bello l'attraversamento di Formigine, con un bel castello del '200; l'atmosfera è proprio simpatica, c'è anche un papà vestito da pellirossa che spinge il passeggino di una bimba molto divertita. Arrivo piuttosto fresco a Modena, dove c'è la mezza maratona, e percorro abbastanza bene la zona più difficile, con tre cavalcavia fastidiosi. L'attraversamento di Modena è veramente bellissimo, soprattutto l'attraversamento dell'Accademia Militare con i cadetti sull'attenti al passaggio degli atleti. 
Ingresso a Modena
Poco dopo faccio rifornimento di maltodestrine per non rischiare di finire la benzina.  Sono tremendamente dolci e sciroppose, e quindi necessitano acqua per mandarle giù.
Il rifornimento dopo Modena
Oltre il 25-30° comincio anche a prendere qualche fondo di bicchiere di sali lungo il percorso, ed a fare gli spugnaggi, comincia a fare molto caldo, la giornata, che era partita fresca, è diventata calda e con un bellissimo sole. Dalle proiezioni dei tempi mi rendo conto di poter ampiamente andare sotto le tre ore e mezza. Decido di aumentare lievemente l'andatura e riesco a tenere un discreto ritmo, passo il 35°, il 38° ancora molto bene, anche se adesso sto tirando e la fatica si fa sentire, siamo oltre le tre ore di gara.
Intorno al 35° chilometro
Fra il 39° ed il 40° faccio addirittura il chilometro più veloce, in 4'22''!, troppo veloce, decido di rallentare lievemente per non bruciarmi le gambe. L'ingresso nella Piazza Martini, dove c'è l'arrivo è stupendo, una piazza meravigliosa. Sull'ultimo rettilineo a destra ci sono i palchetti e scorgo Pablo, che a petto nudo mi grida in lontanza (mentre io grondavo di sudore e facevo l'ultimo e definitivo sforzo): papà ho seteee!!!, ma guarda un pò tu!. Finisco bene, anche se distrutto, e subito dopo il traguardo mi siedo nell'area destinata al rifocillamento.
All'arrivo: il tempo visualizzato è quello official, dallo sparo, quello effettivo (real) è inferiore
Ritrovo Mauro, che ha finito più di un'ora prima di me con i roller. Ho fatto un discreto tempo 03.16.52 (real time), sono andato parecchio meglio delle previsioni, però le gambe, per la prima mezz'ora, sono di legno. Ritrovo tutti gli altri, mi cambio (sono completamente zuppo) e andiamo al pasta party, dove riesco a farmi dare un piatto anche per Pablo. Ultima tappa ancora a Maranello dove andiamo a vedere il Museo Ferrari, visto che i maratoneti hanno l'ingresso gratuito e quelli che accompagnano una forte riduzione. Macchine meravigliose, posto interessante; emozionante soprattutto vedere l'ultima macchina guidata da Villeneuve prima di morire.
L'auto di Villeneuve

domenica 12 febbraio 2012

Gli albori: un abbozzo di alpinismo

Fin da bambino avevo passione per la montagna, conoscevo a memoria quasi tutte le montagne più alte di ogni paese, tutti i 14 ottomila e le cordate che le avevano scalate. Non avevo mai però avuto l'occasione di iniziare una frequentazione di tipo alpinistico, nè avuto la possibilità di comprare attrezzatura alpinistica. Non ricordo esattamente l'anno, ma deve essere circa il '94-'95, giorno 31 dicembre, questo lo ricordo, quando un certo buon senso avrei dovuto averlo, decido di salire il Dolcedorme dal versante sud, da dove non ero mai salito. Percorrerò il Crestone dei Loricati, bellissima e lunghissima cresta che conduce fino alle pareti di vetta. Si tratta peraltro dell'itinerario con il più elevato dislivello che c'è in Calabria (oltre 1300 m).
Il tracciato seguito (foto non mia)
Parto presto, ed appena comincia ad albeggiare inizio a salire da Valle Piana, a 900 m di quota. La prima parte è meravigliosa e priva di neve, e riesco a salire velocemente senza problemi. arrivato sotto le pareti di vetta trovo neve dura e mi immetto nel canalone che permette un facile accesso alla cresta sommitale. Purtroppo sono però completamente privo di attrezzatura adatta: non ho ramponi nè piccozza, solo degli scarponi ed un martello da carpentiere, che uso a mò di piccozza, veramente ridicolo. Riesco comunque a salire bene nel canale piantando la punta dello scarpone, anche se in una occasione scivolo per qualche metro sulla neve dura senza conseguenze. Arrivato nella parte più stretta del canalone la neve diventa morbissima e cdevole, affondo fino ai fianchi!, impossibile proseguire così. Decido quindi di fare una variante all'itinerario, salendo sulle rocce a sinistra, che non mi sembrano troppo difficili. Con qualche piccolo patema, visto che sono solo e sprovvisto di qualsiasi sistema di auto-assicurazione, riesco a superare questa fascia rocciosa (che a posteriori direi che potrebbe essere un secondo grado scarso), di roccia molto fratturata ed instabile e sbuco sulla cresta e quindi alla vetta, dove arrivo verso le 11:45. Il ritorno è semplice e stavolta per forza di cose attraverso il canalone scartato all'andata. Stavolta niente è andato storto. Fra l'altro credo di aver aperto un itinerario nuovo, non mi risulta che nessuna sia uscito dal canalone in quel punto per salire sulle rocce.
Parte finale della via (anche stavolta foto non mia) con la variante a sinistra del canale

Alla Montea in bicicletta

Questa avventura, e stavolta nel vero senso della parola, risale a molti anni fa, credo agli anni '90-'91, e nasce dalla voglia di salire la splendida montagna chiamata Montea, ben visibile anche dal balcone di casa, splendida nella luce del tramonto con il suo profilo seghettato. Naturalmente all'epoca non avevo la patente, e di farmi accompagnare non se ne parla assolutamente. Decido quindi di andare in bicicletta fino al Passo dello Scalone, che segna lo scollinamento fra Sant'Agata d'Esaro e Belvedere Marittimo, alla quota di 740 m. Premessa: la mia bici non è che andasse benissimo, aveva evidenti problemi ai freni; in pratica funzionava bene solo il freno anteriore, mentre nel posteriore i pattini toccavano appena. Naturalmente parto da solo, non ricordo il motivo, forse Stefano mi aveva classificato come pazzo o semplicemente non ne aveva voglia. Lo zaino che mi metto sulle spalle è quindi decisamente pesante e mi darà filo da torcere per l'intero viaggio. L'inizio non è dei migliori: a Taverna di Montalto sbaglio strada, ed invece di prendere la strada della bonifica chi avrebbe condotto in pianura fino allo scalo di Mongrassano seguo stupidamente la SS 19, che mi costringe a fare l'inutile salita di Regina di Lattarico..... Arrivo comunque in buone condizioni e senza altri intoppi al Passo dello Scalone, dove monto la tenda. La mattina dopo smonto la bicicletta e la incateno ad un albero fuori dalla vista. Mi carico nello zaino tutte le altre cose, compresa la tenda, il sacco apelo, viveri e ben 7 litri d'acqua visto che non conosco nessun punto d'cqua su questa montagna. Inizio a salire nella boscaglia fitta e su terreno ripido. La fatica è veramente tanta ed il caldo, appena il sole si fa vedere, veramente terribile. Poi saprò che a Cosenza si sono registrati oltre 38° all'ombra. Bevo in continuazione; la salita sembra interminabile, anche perchè in effetti il dislivello è discreto: da Passo dello Scalone si deve prima ridiscendere per un centinaio di metri e poi risalire fin quasi a 1800 m. Arrivo alla cima est totalmente stremato e bevendo l'ultima goccia dei famosi 7 litri!, dopo quasi 8 ore. Comunque sono riuscito ad arrivare alla vetta, anche se la vetta est, alta 1785 m, che viene riportata in tutte le carte a piccola scala in quanto dotata di pilastrino trigonometrico, non è la più alta, che è invece più ad occidente (1822). Di arrivare sull'altra cima però non se ne parla: in mezzo c'è una bella scarpata, le mie forze sono finite e l'acqua pure!, devo scendere.
La Montea vista da nord: al centro la vetta trigonometrica, a destra l'elevazione maggiore
Scendo lungo la linea di massima pendenza seguendo la linea di un canalone e dopo solo un'ora e mezza sono già nell'alta gola dell'Esaro alla base della montagna, sono però totalmente disidratato, sto rischiando seriamente un colpo di calore od un collasso. Appena trovo una pozza d'acqua nel fondo della gola bevo avidamente nonostante pulluli di larve di zanzare...... Poi prima di uscire dall'ultimo trattodi boscaglia vengo letteralmente assalito da una nuvola di tafani, non esco quasi ad aprire gli occhi, devo mulinare le braccia in continuazione e correre per 300-400 m per liberarmene, ci mancava pure questa!. Alla sera sono distrutto e mi preparo una minestra di quelle istantanee sul fornelletto a gas. Il giorno dopo, visto il caldo asfissiante decido di partire appena fa giorno e comincio la discesa che dal Passo dello Scalone porta a Sant'Agata, faccio le prime curve, prendo velocità e stringo i freni: tlack, si è rotto l'unico freno buono, e mò che faccio?. Piazzo le suole delle scarpe sull'asfalto per rallentare e appena posso mi butto di fianco su una cunetta non troppo arcigna. Io non mi sono fatto niente, ma il freno è andato, si è spezzato il cavetto di acciaio e non ho quello di scorta (che porterò sempre da allora in poi). Che fare adesso visto che l'altro era già scarsamente funzionante?. Decido di stringere il freno posteriore in maniera che la bici sia sostanzialmente sempre un poco frenata, ma almeno così se stringo un poco frena.... Il ritorno è ovviamete un vero Calvario, soprattutto le salite con bici frenata sono veramente terribili, ma se allentassi il freno poi non frenerebbe affatto!. Le discese troppo ripide decido di farle fuori sella portando la bici a mano. Quando arrivo a casa mi butto sul divano, stremato, e per due ore praticamente non apro bocca, suscitando commenti divertiti e sarcastici....
Carta con l'itinerario seguito

Iniziazione alpinistica

Gennaio del 2002, obiettore di coscienza alla Casa delle Culture a Cosenza, addetto alla sala Internet; scopro La Rete. Inevitabili le visite ai negozi on line di articoli sportivi. Scopro l'attrezzatura e decido di comprare qualcosa di non troppo costoso: mi limito a guanti, piccozza, ramponi e ghette. Comincio a fantasticare di salite, e dopo aver atteso il momento giusto parto alla volta del Pollino, destinazione canalone della Grande Frana. Sono i primi di marzo. La domenica parto prestissimo ed alle 05:15 sono già a Colle dell'Impiso. La neve è ottima, dura, e non si affonda per niente. arrivo alle sette ai Piani del Pollino e dò uno sguado alla via: c'è prima da attraversare una fascia di faggi e poi si arriva sullo scoperto nella Grande Frana.
Il tracciato della via seguita (foto tratta da blog Leucodermis)
La fascia di faggi è faticosissima da attraversare perchè la neve è altissima ed in questa zona è morbida: spesso sprofonda tutta la gamba. Arrivati allo scoperto calzo i ramponi e parto: si va una meraviglia e non fa neanche freddo, di guanti non se ne parla proprio. Raggiungo il centro della frana e sbircio verso l'alto: devo prima passare a sinistra di un saltino rocciso, poi fare un traverso a destra e quindi direttamente su misto fino all'uscita di un canalino su cui si intrevede una piccola cornice. Vado, ma dopo un pò il pendio comincia a farsi ripido e quando raggiungo il traversino sono sui 45-50°; la neve a tratti è cedevole e non riesco a prendere i guati, che ho stupidamente lasciato nello zaino, che adesso non riesco a levarmi nella precaria posizione in cui sono. Faccio il traversino poggiando costantemente una mano nella neve per equilibrarmi (ho una sola piccozza) ed arrivo al canalino, che non è poi così breve come sembrava. Salgo ancorando la piccozza alle scaglie di calcari che spuntano dalla neve, sempre facendo equilibrio con l'altra mano, e finalmente arrivo ad un piccolo ripiano sotto la cornice sommitale. Sono distrutto e congelato. Mi butto sulla neve affannato e non riesco a far nulla per almeno venti minuti. Le mani, soprattutto la sinistra, sono totalmente inservibili, non riesco neanche ad aprire lo zaino!. Dopo circa mezz'ora riesco ad aprire lo zaino, infilare i guanti, mangiare qualcosa e fare il punto della situazione: sono alla fine del canalino, che termina con un diedro che sulla destra è roccioso e sulla sinistra di neve dura; sopra è sormontato dalla gronda della cornice sommitale, che sporge di un buon metro nel vuoto. Non posso ripiegare (non ho corde nè ancoraggi), quindi devo per forza passare di lì. Mi rimetto in assetto, un rampone contro la parete rocciosa e l'altro con il lato nevoso e dò enegici colpi di piccozza alla cornice, che piano piano riesco e demolire e precipita a valle con rumore sinistro, e finalmente riesco ad issarmi al di la di essa, sui pianori di vetta.
Il percorso seguito nel tratto finale
Sono riuscito ad arrivare tutto intero, ma confesso che stavolta ha avuto davvero paura, sono stato sprovveduto ed incauto, solo, poco attrrezzato e poco preparato su un itinerario che non conoscevo, un esempio da non imitare.

Trekking Traversata dell'Orsomarso

Traversata dei monti di Orsomarso da sud a nord, da Passo dello Scalone a Campotenese. Quattro giorni di cammino fra boschi e creste in totale autonomia. Bastiamo solo noi a noi stessi. Stavolta non sono protagonista solitario, ma accompagnato da Mauro, che stranamente decide di accompagnarmi in questo "giro". Fine luglio afoso di non ricordo quale anno (sicuramente metà anni '90). Partiamo con due zaini enormi, con viveri, tenda, sacco a pelo, fornello, acqua, ecc... Come riferimento per l'itinerario ho una guida dei monti dell'Orsomarso di Bevilacqua, rivelatasi pessima, soprattutto come cartografia, e null'altro. Il primo giorno partiamo dall'estremità sud, il passo dello Scalone, per dirigerci verso il piano di Serrapodolo. La prima parte attraversa la parte alta delle gole dell'Esaro, che in parte già conosco, fino al Passo de La Melara, Fra la Montea ed il gruppo di La Caccia-Monte Petricelle. Da La Melara in poi il sentiero è praticamente inesistente e perdiamo più volte la traccia, trovandoci spesso in mezzo a dirupi o versante scoscesi difficilmente percorribili, come quello che si riporta nella foto a seguire.
Faggio aggrappato al dirupo
Riusciamo ad arrivare al piano di Serrapodolo solo dopo circa 9-10 ore di cammino e lì ci attendiamo. Ricordo che quella sera grigliammo dei wurstel (poteva mancare la griglia?). la mattina presto ci sveglia una mandria di vacche con il loro scampanio. Ci rimettiamo in marcia per arrivare a Varco del Palombaro e successivamente ai Piani di Annibale. Nella prima parte troviamo un buon sentiero, che però poi si perde, e successivamente una stradella forestale che, senza intoppi ci conduce al Varco del Palombaro, che segnala testata della valle del fiume Rosa, fra la Montea e la Mula. Troviamo quindi il sentiero che sale ai Piani di Annibale, e nella parte alta, l'acqua Pice, piccola sorgente, veramente scarsa, posta sotto i piani. Proseguiamo fino ai piani, li attraversiamo, e appena imboccata la strada forestale dalla parte opposta ci imbattiamo in cinghiali; immediatamente ci fermiamo ed ammutoliamo: c'è una femmina con i piccoli a pochi metri da noi, incredibilmente non ci ha visti e sentiti, probabilmente siamo a sottovento. Lo spettacolo è veramente bellissimo ed i piccoli cighiali sono adorabili; certo se la madre vi avesse visto non sarebbe stato così simpatico l'incontro.  Proseguiamo in direzione di Cozzo del Pellegrino e verso sera, nella zona di serra Paratizzi, abbiamo un altro più gradito incontro. Stiamo camminando nella boscaglia, quando ad un tratto sento uno schiocco di rami sulla mia destra e mi volto. A non più di 10-15 m da me c'è un lupo, che rapidamente voltatosi corre lontano da noi. Se non si fosse mosso per scappare non l'avremmo neanche visto.... Questa è stata la prima, ed anche l'unica volta, nonostante le mie frequentazioni di montagna, che ho avuto la ventura di osservare un lupo libero nel suo ambiente.
Ci accampiamo a Serra Paratizzi, con il verso di strigiformi e respare nel bosco di animali non meglio identificati che accompagna per la notte; è stata comunque una grande giornata.
Mauro si rilassa su un tronco lungo il percorso

 L'attendamento a Serra Paratizzi
La nostra tenda in primo piano, piena di bagagli

Il giorno successivo si presenta duro: salita al Cozzo del Pellegrino e discesa verso il Piano di Tavolara. Questo giorno sarà segnato dalla stanchezza e dall'incertezza: praticamente non troviamo mai sentieri buoni, se non a tratti, e ci perdiamo nell'incredibile intrico dei faggi reptanti della Calvia. Riusciamo a superare questa fascia solo camminando sulle cime degli alberelli.
 Mauro sta per raggiungere la cima di Cozzo del pellegrino
Vista dalla cima di Cozzo del Pellegrino; sotto di noi la terribile fascia di faggi reptanti, mentre in secondo piano Serra Paratizzi e poi La Mula
Anche la lunghissima discesa dal Pellegrino è stremante ed alla fine sbuchiamo su un pianoro non meglio identificato, che poi scoprirò essere il piano di Ferrocinto; seguiamo una strada forestale ed arriviamo ai piani di Tavolara, dopo aver sbagliato nuovamente strada e dopo aver incontrato le prime persone dopo due giorni.
L'autore in mezzo ai boschi di faggio
Questo terzo è anche l'ultimo pernottamento: domani contiamo di arrivare a Campotenese. Il giorno successivo prendiamo una strada forestale e poi successivamente il sentiero che passa da Pietra Campanara, bellissimo monolito calcareo nella parte alta della Valle dell'Argentino.
Pietra Campanara
Saliamo quindi alla vetta del Monte Palanuda, da cui si gode un bel panorama, e scesi dalla parte opposta imbocchiamo una forestale che dopo qualche chilometro ci conduce a Campotenese. E' stato un trekking faticoso, in cui abbiamo camminato una media di 10 ore al giorno, ma veramente molto bello, fatto in un periodo in cui quelle zone ancora non erano meta di molte visite, la segnaletica inesistente, i sentieri scarsi e mal tenuti, insomma era ancora wilderness.

Gli albori - in bicicletta con lo zaino in spalla

Nel periodo del liceo l'estate era dedicata, oltre ai lavori di campagna, ai giri in bici, con una media di 30-40 km al giorno ed uscite giornaliere anche più lunghe. Decidiamo quindi di fare qualcosa di più, e di avventurarci in un tour di più giorni.
Estate del 1991: con mio fratello Stefano facciamo una sorta di giro della provincia di Cosenza in bicicletta con lo zaino in spalla. Partiamo da casa nostra (Donnici), procediamo verso Potame, quindi raggiungiamo la litoranea ad Amantea, risalendola fino a Belvedere Marittimo, dove dormiamo la prima notte (in tenda). Nella foto che segue il lauto pasto che ci siamo preparati, capellini con fagioli cannellini (una cosa leggera). La foto dà anche un'idea dell'incredibile roba che siamo tirati dietro per soli tre giorni, fra cui una bottiglietta d'olio, barattoli di fagioli, pentolino d'acciaio con coperchio, ecc...
La meritata cena

Il secondo giorno raggiungiamo Scalea e poi risaliamo, via Santa Maria del Cedro e Papasidero, fino a Mormammo e poi a Castrovillari.
Stefano nella Valle del Lao

Ebbene si, sono io..., ero giovane...

Il terzo giorno ritorniamo a casa a tratti fra gli acquazzoni, fermandoci spesso al riparo di qualche grondaia. I ricordi che ho di questa avventura, sono veramente molto belli; la fatica delle pedalate non è mai stata eccessiva, anche perchè all'epoca eravamo belli allenati ed i ritmi erano rilassati. Certo gli zaini non erano dei più moderni, comprati a poche lire a qualche mercataccio, del tipo militare, decisamente antiquato e scomodo (credo avanzi bellici del '15-'18), ma l'entusiasmo della gioventù vince su tutto.
Pedalando fra Papasidero e Mormanno