mercoledì 9 ottobre 2013

Una giornata in Rosa

La mia sgroppata agostana al Nord, dopo la parentesi iniziale dolomitica, si conclude nel Gruppo del Monte Rosa. Dopo due giorni di attesa del bel tempo spesi a bighellonare fra Ivrea, Biella e Torino, finalmente a sera pieno di speranza in virtù delle favorevoli previsioni per il giorno successivo, mi reco al parcheggio della funivia di Chaval a Gressoney per passare la notte. A dire la verità la notte e la mattina presto ogni tanto sento degli scrosci preoccupanti, ma ho discreta fiducia nel servizio meteo valdostano. Non sono il solo a dormire nel parcheggio, ma certamente il peggio attrezzato per la notte, tutti hanno i camper o i furgoni belli comodi, altro che la mia panda aziendale, immatricolata autocarro, da due scomodi posti.
La funivia apre solo alle sette e mezzo e gli escursionisti e/o alpinisti sono già tutti pronti in fila per fare il biglietto e salire verso le rispettive destinazioni; io vado al ghiacciaio di Indren, ultima stazione verso l'alto ad una quota di circa 3200 m, punto di partenza privilegiato per tutto il settore centrale del Gruppo del Monte Rosa. In cabinovia mi ritrovo con due signori francesi, uno dei quali, particolarmente loquace, mi fa diverse domande, una buona occasione per rispolverare il mio anchilosatissimo francese e scambiare impressioni sulle condizioni della montagna; loro hanno obiettivi ambiziosi, con la scalata in tre giorni praticamente di tutte le cime più alte del Rosa, compresa la Punta Dufour, la massima elevazione del gruppo con i suoi 4633 m, seconda vetta d'Italia dopo il Monte Bianco. I miei obiettivi sono certamente più modesti ma non ben definiti, conto solamente di poter salire due o tre cime minori e rientrare in tempo per l'ultima corsa della funivia in discesa. Alla stazione di arrivo si assiste alle operazioni di vestizione per l'attraversamento del ghiacciaio, con la formazione delle cordate, anche io indosso i ramponi ed il casco. La prima parte del tracciato è l'attraversamento del Ghiaccio di Indren con ampio semicerchio ascendente verso sinistra, niente affatto crepacciato, su ottima pista che conduce verso i rifugi Mantova e Gnifetti, molto frequentati, soprattutto il secondo, perché rappresentano ottimi punti di partenza verso le cime.
 La Piramide Vincent dal Ghiacciaio di Indren
Il Ghiaccio di Indren; a destra in alto si intravede la Stazione di arrivo della funivia
Attraversato il ghiacciaio di Indren bisogna superare un'ampia fascia rocciosa, molto ben attrezzata con grosse corde di canapa nei punti più esposti e meno facili.


Attraversamento della fascia rocciosa con i canaponi
Superata la fascia rocciosa si sbuca sul piccolo ghiacciaio del Garstelet e di fronte si presenta su una dorsalina rocciosa il rifugio Gnifetti.
Il Rifugio Gnifetti al di là del Ghiacciaio Garstelet
Molti si dirigono, traversando il ghiacciaio, proprio verso il rifugio, ma io vado direttamente verso destra per portarmi più in alto in direzione della Piramide Vincent, su cui la vista è molto bella.


Vedute sulla Piramide Vincent da sud-ovest e da ovest
La pista è sempre molto ben battuta vista la notevole frequentazione. Sempre in salita, ora più ripida, ora più dolce, procedo verso nord e verso il ghiacciaio del Lys, dove aggiro o attraverso con passo circospetto qualche crepaccio, comunque dall'aspetto non particolarmente minaccioso.
Crepacci nella parte alta del Ghiacciaio del Lys, con il Lyskamm orientale sullo sfondo
Il tempo, dapprima lievemente incerto, è andato effettivamente migliorando, anche se ogni tanto il cielo si vela per il passaggio di nubi che a volte si impigliano nelle cime. Quando il cielo è sgombro fa caldo, ma a tratti, soprattutto salendo di fianco al Balmenhorn verso il colle del Lys ci sono raffiche di vento fastidiose e qualcuno indossa addirittura il passamontagna. Nella parte alta del ghiacciaio del Lys le nuvole si fanno a volte insistenti e tolgono completamente la visibilità. Salendo di quota gli scorci cominciano ad essere veramente molto suggestivi, in particolare fin quando le rocce sono ancora imbiancate dalla nevicata della notte, come il Balmenhorn e il Corno nero.
Balmenhorn a sinistra e Corno Nero a destra
Crepacci nella parte alta del Ghiacciaio del Lys, con il Lyskamm sullo sfondo
A sinistra del Colle del Lys si innalza in tutto il suo splendore il Lyskamm orientale, veramente molto estetico, mentre a destra il Corno Nero affascina per la sua linea slanciata e per la sua rampa di ghiaccio sulla destra.
 Il Corno Nero strappa le nuvole
Cordate salgono in diagonale l'ultimo tratto del Corno Nero
 Ancora il Lyskamm, a sinistra il versante italiano sgombro, a destra quello svizzero sotto le nubi
Dalla cresta della Ludwigshohe: l'insellatura del Colle del Lys e il mare di nuvole sotto la parete nord del Lyskamm
Salendo abbandono la pista che va direttamente al Colle del Lys e mi dirigo verso il colle che separa Corno Nero e Ludwigshohe, ovvero il Colle Zurbriggen. In origine il mio piano era di arrivare alla Punta Parrot e decidere il da farsi, ma mi pare che arrivare alla Parrot richiederebbe un tempo tale che non ne rimarrebbe per salire altre vette e sinceramente il Corno Nero mi attrae parecchio. Decido quindi di arrivare il vetta alla facile Ludwigshohe e tornare per attaccare il Corno Nero e se rimane tempo anche la Piramide Vincent. La rampa e la successiva cresta che portano in cima alla Ludwigshohe non sono affatto difficili ma abbastanza suggestive, soprattutto per il paesaggio incomparabile: a sinistra il superbo Lyskamm divide la soleggiata Italia dal mare di nubi che invece avvolge il versante svizzero, di fronte la vicina Punta Parrot e le più lontane Dufour, molto elegante e suggestiva, Zumstein, e ancora più a destra, la punta Gnifetti con in cima il Rifugio Margherita, mentre in mezzo si stende il biancore del Grenzgletscher.
 Cresta ovest della Ludwigshohe
 Risalgo la cresta prima di essere avvolto dalle nuvole
In cima alla Ludwighohe
Sulla cresta finale una coppia si muove a fatica, una signora soffre palesemente di mal di montagna ed è sfinita, viene direttamente da Palermo e non ha acclimatazione alla quota, siamo ben oltre i 4000 m ormai. Arrivo in cima alla Ludwigshohe (4342 m): lo spettacolo è veramente stupendo appena arrivo, ma subito vengo avvolto dalle nubi che salgono dalla Svizzera. La foto di vetta  che mi scattano i signori incontrati sulla cresta mi vede in un perfetto nulla grigio, comunque suggestivo.
 Le cime regine: punte Dufour, a sinistra, e Zumstein, a destra
 In primo piani la PUnta Parrot e in fondo la Punta Gnifetti con la Capanna Margherita
Vista d'insieme delle vette centrali
Dalla vetta mi rendo comunque conto che la Punta Parrot è un poco troppo lontana e forse non farei in tempo a salire il Corno Nero e ridiscendere per l'ultimo viaggio della funivia. Il corno Nero da questa prospettiva è stupendo, una scheggia verso il cielo, decisamente mi attrae l'idea di salirlo e mi avvio di buona lena verso il Passo Zurbriggen da cui si eleva il Corno.
 L'eleganza del Corno Nero

Il Corno pigramente avvolto dai veli
Quando arrivo una comitiva di signori di lingua tedesca è appena ridiscesa e adesso il Corno è solitario, magnifica occasione per essere solo in cima. Lascio lo zaino al passo e prendo con me solo le due piccozze. Ci sono due ipotesi di salita: traversare in diagonale verso destra e seguire la traccia facendo un percorso meno ripido, oppure attaccare lo scivolo nord in maniera diretta con pendio a 50°; decido di fare quest'ultimo tracciato più "sportivo", diretto ed elegante. La salita è breve ma emozionante, abbastanza ghiacciata; mi faccio un autoscatto sulla parete piuttosto suggestivo, sono anche senza assicurazione.

A fine tratto ripido mi rendo conto che i tedeschi dal basso mi hanno guardato mentre scalavo, infatti dal basso arriva un bel "bravo" con forte accento tedesco, una bella soddisfazione cui rispondo con un sonoro grazie. In cresta un piccolo traverso di I+ o II- abbastanza esposto mi porta in vetta (4322 m) dove purtroppo è sistemata una madonnina, non c'è verso di trovare una vetta sulle Alpi senza qualche orrido segno del cattolicesimo imperante, mi devo armare di pazienza.
 In vetta al Corno Nero
L'area cresta del Corno Nero sulla via di discesa; la via di salita è a sinistra dritti alle rocce laddove finisce la cresta nevosa
Autoscatto di rito e discesa, abbastanza delicata, effettuata sulla traccia diagonale, raccatto lo zaino e continuo la discesa.
La Piramide Vincent e la sua enorme traccia battuta
Lascio sulla destra il Balmenhorn ed il Bivacco Giordani e mi dirigo verso il Colle Vincent. Incontro i due signori francesi che erano saliti in cabinovia con me e rimangono sorpresi che io sia già in discesa dopo aver salito Ludwigshohe e Corno Nero, loro hanno fatto una fermata al Rifugio Gnifetti, ma hanno salito solo la Piramide Vincent. Li saluto e mi dirigo pure io verso la Vincent, su cui sale una traccia enorme, sembra che vi sia passato un branco di cinghiali, la salita è molto facile con pendenze lievi. Arrivo in cresta e mi accoglie un discreto vento, pochi passi e sono in vetta anche alla Piramide Vincent (4213 m). Il cielo stavolta è più sgombro e la vista è splendida, le poche nubi danno profondità ed eleganza alla quinta azzurra del cielo.
Il Lyskamm è meraviglioso.
 La magnificenza del Lyskamm Orientale; a sinistra il Naso del Lyskamm
In vetta alla Piramide Vincent
Solite foto di vetta e via in discesa. Sulle piste tracciate ancora tanta gente sale verso i rifugi, spesso non sapendo bene dove stanno andando: una comitiva di inglesi mi chiede quale sia il rifugio che hanno di fronte, anche avendo una carta in mano hanno incredibilmente scambiato il Bivacco Giordani al Balmenhorn con la Capanna Margherita alla Punta Gnifetti, che dabbenaggine!, gli spiego che ancora hanno moooolto da camminare e salire per arrivare alla Margherita. Ormai l'ora è tarda e fa decisamente caldo, la neve è molto morbida e spesso si affonda anche nella traccia battuta, i crepacci sono molto più in vista; la gente che sale è più loquace e chiede spesso da dove vieni e cosa hai fatto, è incredibile la quantità di gente che ancora sale in pieno pomeriggio, i rifugi devono essere rigurgitanti. Rientro a Indren dopo aver attraversato una zona crepacciata che la mattina non era visibile e mi avvio agli impianti di discesa circa 40 minuti prima della chiusura; c'è una lieve pioggerella, che si intensifica scendendo a Chaval. Rientro all'auto, indosso nuovamente i panni estivi e via, 1400 km fino a casa.

lunedì 19 agosto 2013

Monte Civetta - Via normale

Come scritto nel post precedente dopo aver salito Nuvolau ed Averau mi sposto verso il Monte Civetta, che ho intenzione di salire per la via normale da Pecol. Trovo un posto discreto dove dormire in macchina proprio nel parcheggio dove c’è il divieto di accesso alla stradella forestale da cui si accede al sentiero 587 che dovrò seguire la mattina successiva per arrivare all'attacco della via normale.
Una bella casa in legno a Pecol, vicino al parcheggio in cui ho dormito
La notte è fresca, stellata, e preannuncia una bellissima giornata. Metto la sveglia per le 5.00, voglio partire presto perché la salita è molto lunga, con 1800 m di dislivello in salita ed altrettanti in discesa, e poi perché nel pomeriggio potrebbero esserci dei temporali. Inoltre mi devo spostare verso il gruppo del Monte Rosa. Dopo una frugale colazione mi avvio per la stradella forestale in leggera salita e poi sul più ripido sentiero che conduce al Col Grant dove si incrocia il sentiero Tivan.
Le cime secondarie del Civetta nell'ombra mattutina
Si sale dapprima in un bellissimo bosco di abeti rossi e larici, quindi in una macchia di pini mughi, spesso curvi e a volte spezzati da frane e valanghe.
 
Fra luci ed ombre
Piena luce sul Civetta
Dopo il Col Grant il sentiero, ormai fuori dal bosco, comincia a divenire più sassoso e faticoso, ma lo spettacolo sulle cime secondarie del Civetta e sul retrostante Pelmo è maestoso; quest’ultimo merita veramente l’appellativo di “Caregon del Padreterno”. Per tutti il tratto non ho incontrato nessuno; partire presto è stata una buona idea.
Nella zona a destra delle pareti giallastre al centro corre la via normale
Continuo a salire verso i ghiaioni che precedono l'inizio della parte attrezzata e volgo spesso lo sguardo verso la parete a studiare l'itinerario, pensando che certamente la via percorre una zona centrale della parete chi mi sembra appoggiata e niente affatto verticale.
Il sole intanto comincia a salire ed a riscaldare parecchio; bevo spesso, ma poco, il camel bag è un'ottima trovata. quando arrivo vicino alle pareti vedo due persone che stanno per attraversare il piccolo nevaio che precede l'inizio della via normale, mi precedono di venti minuti circa, mentre in basso vedo un altro escursionista che mi segue a passo veramente rapido e che in breve mi raggiunge e sorpassa, veramente in gamba. La salita lungo il ghiaione alla base delle pareti è dura, spesso si scivola per l'instabilità della pietraia.
Bella fioritura nel ghiaione
Intanto arrivo pure io al nevaio, che attraverso facilmente anche senza ramponi e mi porto alla base della parete in cui inizia la via normale.
Verso l'attacco
La prima difficoltà è rappresentata dal vuoto da disgelo presente fra il nevaio e la base della parete, con una prua niente affatto sicura di neve dura che si protende verso le rocce, ma che non è proprio il caso di approcciare, pena un quasi sicuro volo nel vuoto di qualche metro.
 
 L'attacco della via normale con la prua di neve staccata
 
Decidiamo insieme all'escursionista che mi precedeva e che adesso ho raggiunto, di andare su roccia un poco più in basso, dove il distacco neve-roccia è minore e si arriva sulla parete di roccia con un saltino di pochi decimetri. effettuato il salto con circospezione indosso l'imbrago e posiziono il kit da ferrata; lunghi tratti della via normale sono infatti attrezzati con cavo metallico e si tratta di una ferrata vera e propria, anche se inframmezzata da tratti non attrezzati, talora non proprio banalissimi. Il primo tratto attrezzato è dato da una successione di placche inclinate, molto estetiche e talora discretamente esposte; l'ambiente è severo e affascinante, la salita entusiasmante.
Prima parte del tratto attrezzato subito dopo il nevaio
Dopo il primo tratto attrezzato segue un'ampia zona detritica con tracce di sentiero che a volte si intersecano e che a volte si perdono. Dopo tale facile zona si presenta un'altra zona caratterizzata da tratti attrezzati su cenge inclinate (fra cui il famoso Passo del Tenente) e pacche molto ripide, cui segue nuovamente una zona detritica.
Placche ripide del secondo tratto


Mi faccio qualche foto mentre salgo sulle placche ripide
Si arriva quindi ad un'altra area con tratti ripidi, alcuni quasi verticali, dove incontro qualche comitiva in discesa dal rifugio Torrani. La salita segue fra un alternarsi divertente di tratti attrezzati con cavo metallico ad altri solo segnati dai bolli rossi, che spesso comunque non è facile seguire. Spesso mi ritrovo nei tratti attrezzati con l'escursionista incontrato all'attacco, con il quale ogni tanto scambio qualche impressione.  
 Il Pelmo con Pecol ai suoi piedi; io vengo da lì
Nei pressi del Torrani verso il Van delle Sasse, la cima delle Sasse ed in fondo la Moiazza
Ora comincio ad essere abbastanza in quota, lo vedo dal dirimpettaio Pelmo, e dopo aver zigzagato ancora per pendii ripidi e zone detritiche arrivo finalmente in vista del rifugio Torrani, circa 250 m al di sotto della vetta. Da qui la vista verso il gruppo della Moiazza è veramente affascinante. Ai tavoli del rifugio una coppia che mi pare della Repubblica Ceca è seduta ad un tavolo intenta a mangiare un boccone. da qui invetta il percorso è quasi tutto non attrezzato, ma molto pericoloso per il rischio di scivolate sulle rocce ripide, spesso ricoperte di detrito molto instabile. Passo vicino ad un vecchio pilastrino geodetico e dopo le ultime fatiche sono finalmente in vetta al monte Civetta. In cima mi attende un corvo, molto fieronella sua posa, che si lascia fotografare e successivamente verrà a mangiare qualche pezzo di crackers.
 
 La croce di vetta
 Il corvo
 Il corvo domina sul Van delle Sasse
In vetta
 
 Con la sedia invisibile
 Verso la Cima De Gasperi e la Cima Su Alto
 Agordo ed il suo lago; di fronte la frana che ha generato il lago
 
La vista da quassù è vertiginosa, a un passo si apre il terrificante baratro della parete nord-ovest, alta 1200 m, su cui sono state scritte pagine indimenticabili della storia dell'alpinismo e su cui la via "più facile" è la prima via di VI grado, aperta da Solleder e Lettenbauer nel 1925.
L'impressionante muraglia della parete nord-ovest vista dalla zona di Agordo
Oggi è il 6 agosto e appena me ne rendo conto mentre apro la scatola metallica con il libro di vetta, mi viene naturale dedicare la salita alle vittime della bomba di Hiroshima. Poco dopo di me arrivano in cima anche i cechi (presunti) che avevo incrociato al Torrani. Io intanto faccio qualche foto alla meraviglia che ho intorno nonchè il classico autoscatto in cima, ma stavolta insieme al corvo. Mi sento veramente soddisfatto. Dalla partenza a Pecol fino alla cima ho impiegato cinque ore e mezza, un tempo discreto, ma fatto in assoluta calma e godendomi tutti i momenti della salita. Da qui è particolarmente impressionante da vista su Agordo ed il suo lago di sbarramento; la frana che lo ha generato si individua benissimo, la vedrebbe pure un cieco, non ci vuole certo l'occhio del geologo. Certo è che se anche una frana di minore entità della precedente si abbattesse nella stessa zona di certo buona parte di Agordo sarebbe spazzata via.
Frana ben visibile a tutti
Mangio qualcosa in cima e dopo un poco arriva un gruppo di ferratisti saliti dalla ferrata degli Alleghesi, sembrano tutti in gamba. Un ultimo sguardo al superbo panorama e mi avvio per la discesa, preceduto di poco dai cechi. Il tratto fino al Torrani in discesa è abbastanza infido e faccio molta attenzione, non vorrei beccarmi una scivolata, soprattutto nelle zona in cui il sentiero passa vicino al ciglio di un simpatico burrone. I tratti in discesa li affronto con tranquillità, non c'è nessuno, si scende rapidamente, anche se in qualche tratto bisogna stare attenti a seguire il percorso migliore e si rischia spesso di andare fuori tracciato. nella parte bassa. Infine arrivo all'attacco della via, tolgo l'imbrago e effettuo a ritroso il salto sul nevaio. Mi attende ora la lunga discesa sulla pietraia e poi nel tratto boscato; nella pietraia ad un certo punto scelgo, per evitare un tratto che mi sembra troppo instabile, di passare su un grosso blocco liscio con un poco di ghiaietto sopra: scelta veramente infausta, scivolo immediatamente e prendo un bel volo con sedere a terra e testa all'indietro, fortunatamente sono riuscito a mettere la mano destra a terra e il polso ha tenuto. Non mi sono fatto nulla, ma il volo è stato spettacolare. La discesa mi pare veramente interminabile, anche se sto scendendo abbastanza rapidamente, ma verso la fine della discesa finisco l'acqua che avevo portato, circa 2,5 l, e accelero ancora. In tre ore e mezza dalla cima finisco la discesa ed arrivo alla macchina, dove finalmente bevo abbondantemente. Mi cambio completamente, faccio il pieno di acqua alla fontana pubblica in thermos e bottiglie varie e lascio la stupenda area dolomitica per dirigermi verso l'ultima tappa di queste ferie agostane, il gruppo del Monte Rosa, su cui relazionerò nel prossimo post.
Ecco il tracciato approssimativo della via normale visto dal basso.